Maledetti
professori
IL "PROFESSORE", ormai, primeggia solo
fra le professioni in declino. Che insegni alle
medie o alle superiori ma anche all'università: non
importa. La sua reputazione non è più
quella di un tempo. Anzitutto nel suo ambiente.
Nella scuola, nella stessa classe in cui insegna. Gli
studenti guardano i professori senza deferenza particolare.
E senza timore. In fondo, hanno stipendi
da operai specializzati (ma forse nemmeno) e un'immagine
sociale senza luce. Non possono essere presi a
"modello" dai giovani, nel progettare la carriera
futura. Molti genitori hanno redditi e posizione professionale
superiori. E poi, la cultura e la conoscenza, oggi, non
vanno di moda. E' almeno da vent'anni che tira un'aria sfavorevole
per le professioni intellettuali. Guardate con sospetto
e sufficienza.
Siamo nell'era del "mito imprenditore" . Dell'uomo
di successo che si è fatto da sé. Piccolo
ma bello. E ricco. Il lavoratore autonomo, l'artigiano e
il commerciante. L'immobiliarista. E' "l'Italia che
produce". Ha conquistato il benessere, anzi: qualcosa
di più. Studiando poco. O meglio: senza bisogno di
studiare troppo. In qualche caso, sfruttando conoscenze
e competenze che la scuola non dà. Si pensi a quanti,
giovanissimi, prima ancora di concludere gli studi, hanno
intrapreso una carriera di successo nel campo della comunicazione
e delle nuove tecnologie.
Competenze apprese "fuori" da scuola. Così
i professori sono scivolati lungo la scala della mobilità
sociale. Ai margini del mercato del lavoro. Figure laterali
di un sistema - la scuola pubblica - divenuto, a sua volta,
laterale. Poco rispettati dagli studenti, ma anche
dai genitori. I quali li criticano perché non sanno
trasmettere certezze e autorità; perché non
premiano il merito. Presumendo che i loro figli siano sempre
meritevoli.
Si pensi all'invettiva contro i "professori meridionali"
lanciata da Bossi nei giorni scorsi. Con gli occhi rivolti
- anche se non unicamente - alla commissione che ha bocciato
"suo figlio" agli esami di maturità. Naturalmente
in base a un pregiudizio anti-padano. I più critici
e insofferenti nei confronti dei professori sono, peraltro,
i genitori che di professione fanno i professori. Pronti
a criticare i metodi e la competenza dei loro colleghi,
quando si permettono di giudicare negativamente i propri
figli. Allora non ci vedono più. Perché loro
la scuola e la materia la conoscono. Altro che i professori
dei loro figli. Che studino di più, che si preparino
meglio. (I professori, naturalmente, non i loro figli).
Va detto che i professori hanno contribuito ad alimentare
questo clima. Attraverso i loro sindacati, che hanno
ostacolato provvedimenti e riforme volti a promuovere percorsi
di verifica e valutazione. A premiare i più presenti,
i più attivi, i più aggiornati, i più
qualificati. Così è sopravvissuto questo sistema,
che penalizza - e scoraggia - i docenti preparati, motivati,
capaci, appassionati. Peraltro, molti, moltissimi.
La maggioranza. In tanti hanno preferito, piuttosto, investire
in altre attività professionali, per integrare il
reddito. O per ottenere le soddisfazioni che l'insegnamento,
ridotto a routine, non è più in grado di offrire.
Sono (siamo) diventati una categoria triste.
Negli ultimi tempi, tuttavia, il declino dei professori
è divenuto più rapido. Non solo per inerzia,
ma per "progetto" - dichiarato, senza infingimenti
e senza giri di parole. Basta valutare le risorse destinate
alla scuola e ai docenti dalle finanziarie. Basta ascoltare
gli echi dei programmi di governo. Che prevedono riduzioni
consistenti (di personale, ma anche di reddito): alle medie,
alle superiori, all'università. Meno insegnanti,
quindi. Mentre i fondi pubblici destinati alla ricerca e
all'insegnamento calano di continuo. Dovrebbe subentrare
il privato. Che, però, in generale se ne guarda bene.
Ad eccezione delle Fondazioni bancarie. Che tanto private
non sono. D'altra parte, chissenefrega. I professori, come
tutti gli statali, sono una banda di fannulloni. O almeno:
una categoria da tenere sotto controllo, perché spesso
disamorati e impreparati. Maledetti professori. Soprattutto
del Sud. Soprattutto della scuola pubblica. E - si sa -
gran parte dei professori sono statali e meridionali.
Maledetti professori. Responsabili di
questa generazione senza qualità e senza cultura.
Senza valori. Senza regole. Senza disciplina. Mentre i genitori,
le famiglie, i predicatori, i media, gli imprenditori. Loro
sì che il buon esempio lo danno quotidianamente.
Partecipi e protagonisti di questa società (in)civile.
Ordinata, integrata, ispirata da buoni principi e tolleranza
reciproca. Per non parlare del ceto politico. Pronto a supplire
alle inadempienze e ai limiti della scuola. Guardate la
nuova ministra: appena arrivata, ha già deciso di
attribuire un ruolo determinante al voto in condotta. Con
successo di pubblico e di critica.
Maledetti professori. Pretendono di insegnare
in una società dove nessuno - o quasi - ritiene di
aver qualcosa da imparare. Pretendono di educare in una
società dove ogni categoria, ogni gruppo, ogni cellula,
ogni molecola ritiene di avere il monopolio dei diritti
e dei valori. Pretendono di trasmettere cultura in una società
dove più della cultura conta il culturismo. Più
delle conoscenze: i muscoli. Più dell'informazione
critica: le veline. Una società in cui conti - anzi:
esisti - solo se vai in tivù. Dove puoi dire la tua,
diventare "opinionista" anche (soprattutto?) se
non sai nulla. Se sei una "pupa ignorante", un
tronista o un "amico" palestrato, che legge solo
i titoli della stampa gossip. Una società dove nessuno
ritiene di aver qualcosa da imparare. E non sopporta chi
pretende - per professione - di aver qualcosa da insegnare
agli altri. Dunque, una società senza "studenti".
Perché dovrebbe aver bisogno di docenti?
Maledetti professori. Non servono più a
nulla. Meglio abolirli per legge. E mandarli, finalmente,
a lavorare.
(25 luglio 2008) |